martedì 31 dicembre 2013

Donna dell’anno 2013


La donna dell’anno 2013 non è una sola, e, anche rimanendo in Italia, commetterò sicuramente grosse ingiustizie citandone, come esempi, solo alcune, scusandomi in anticipo per chi dimenticherò.

Vorrei partire con lei: Josefa Idem. Nata in Germania, sposata con un italiano, è diventata una delle nostre atlete di maggior prestigio internazionale, partecipando a numerose edizioni di giochi olimpici e dimostrando una forza ed una tenacia eccezionali. Impossibile non ammirarla quando gareggia e, per me, impossibile dimenticare il suo impegno politico con la sinistra.
La cosa più bella che ha fatto, nella sua carriera, è stata la rinuncia all’importante ruolo di Ministro della Repubblica col Governo Letta. Dopo pochi giorni di polemiche e messa in discussione del suo comportamento nei confronti del fisco, sul quale non entro nel merito, ha rassegnato le dimissioni, cosa molto rara in Italia.  Non si è mostrata attaccata alla poltrona, come si usa dire, né al prestigio del ruolo. Il suo distacco le rende onore, così come la sua apertura ai matrimoni tra persone dello stesso sesso ed il suo impegno su vari piani, oltre a quello sportivo.
Recentemente ha pubblicato un libro dove racconta la sconfitta politica come una delle più dure che ha dovuto affrontare.


Un’altra donna che merita un ricordo, impegnata come poche, è Giusi Nicolini, sindaco di Lampedusa e Linosa, in prima linea ai confini del nostro Paese ed a contatto con la sofferenza dei migranti, schierata dalla parte dei deboli, degna rappresentante di tutti i lampedusani nella loro opera difficile di accoglienza, spesso dimenticati dagli altri italiani. Qui si possono ascoltare le parole del sindaco in occasione dell'incontro a Bruxelles con il presidente del Parlamento Ue, Martin Schulz, insieme al governatore siciliano Renato Crocetta, il 24 ottobre 2013: ''Dopo tante bare, non deludeteci'' 

Poi LeaGarofalo “Figlia di un boss, sorella di un boss e sposa di un boss,
volevano cancellarla per sempre dalla faccia dalla terra. Aveva parlato. Volevano farla diventare niente, cenere.” La figlia ricorda così la madre: “Lea, la mia cara mamma, ha avuto il coraggio di ribellarsi alla cultura della mafia, la forza di non piegarsi alla rassegnazione. Il suo funerale pubblico, al quale vi invito, è un segno di vicinanza non solo a lei, ma a tutte le donne e uomini che hanno rischiato e continuano a mettersi in gioco per la propria dignità e per la giustizia di tutti”

E per finire ricordo una sola tra le tante donne uccise da chi avrebbe dovuto essere per loro un sostegno, una difesa, una donna vittima della violenza dell’uomo. La tragedia è avvenuta vicino a dove vivo io, a Trento, e la vittima è Yurani Jimenez Cuadrado, che voglio ricordare col suo sorriso in un momento felice.
Troppe sono state le donne uccise in questo modo, solo in Italia.



Ecco alcune delle mie donne dell’anno 2013.

                                                                            Silvano C.©

domenica 29 dicembre 2013

Ti regalo un rametto di mimosa




Ho fatto due passi stamane ed ho visto un albero di mimosa con le infiorescenze ancora verdi ma inconfondibili, pronte al balzo finale che tra due mesi circa le renderanno quel simbolo dell’otto marzo tanto amato e tanto odiato da uomini e donne.
Oggi è il 29 dicembre 2013, quindi un periodo dell’anno non sospetto e lontano dall’8 marzo, perché non vorrei che  si pensasse alle donne ed ai loro diritti solo quel giorno. Servono meno ipocrisia e meno cioccolatini. 
Già il 9 marzo quello che si era detto solo 24 ore prima rischia di essere dimenticato, almeno da parte di alcuni uomini.
Storicamente alcuni temi della giornata internazionale della donna vennero affrontati per la prima volta nel corso della seconda internazionale socialista, a Stoccarda, e in seguito, poco alla volta, venne deciso in molti Paesi del mondo di dedicare sul calendario un giorno all’anno alla donna.
In Italia la giornata, chiamata all’inizio festa della donna, venne celebrata nel dopoguerra ogni anno a partire dal 1946. 
In quel giorno l’UDI diffondeva Noi Donne, allora ancora ritenuto fonte di turbativa per l’ordine pubblico. A comprare Noi Donne, in famiglia, era mio padre, che poi lo regalava a mia madre, con la tradizionale mimosa, o con un altro fiore, se mimose non ne trovava. E, garantisco, mia madre gradiva e quel fiore non era ipocrita.
Ora molto tempo è passato. Mi è capitato di mettere su alcune pagine personali di amiche su Facebook, qualche anno fa, foto di mimose. Alcune mi hanno aggredito, come se non avessi capito nulla, come se ricordassi solo quel giorno che ci sono le donne con i loro diritti e i loro problemi, come se questi non fossero anche i miei, come cioè se io, come uomo, dovessi semplicemente essere soddisfatto dei miei diritti e della mia libertà ignorando quella delle donne. Confesso che mi sono pure offeso, senza dirlo ovviamente, ma cercando di spiegare che quel giorno è solo un’occasione di riflessione in più, non il solo in tutto l’anno.
Poi, quando lavoravo, se potevo, portavo alle colleghe qualche mazzetto di mimosa e qualche cioccolatino. Già in quelle occasioni le reazioni erano diverse. Sapevano chi ero, e come la pensavo, e spiegarmi era facile, in caso di fraintendimenti. Poi a tutte le alunne, per diversi anni, non facevo mancare un piccolo ramettino di mimosa unito ad un gradito cioccolatino, mentre i maschi scalpitavano e alcuni arrivavano al punto di imitare le ragazze per avere anche loro un cioccolatino.
Uno di loro una volta, durante una lezione sul tema, ebbe il coraggio di dire che non era giusto che le ragazze avessero il ciclo ed i ragazzi no. Mi venne spontaneo fargli notare che se non aveva il ciclo avrebbe sempre potuto avere il triciclo. Uno a zero e palla al centro.

Oggi i grandi temi ancora aperti sulla problematica femminile sono troppi, e non in tutti i campi si fanno progressi, anzi, ci sono forti movimenti di reazione. Io vorrei solo citare alcuni di questi temi, in disordine sparso, senza approfondirlo quanto meriterebbe, perché questa non è la sede più adatta e rischierei di scrivere un post troppo lungo, che nessuno leggerebbe.

La riforma delle pensioni in atto colpisce le donne molto più duramente degli uomini perché sino a non troppi anni fa era a loro riconosciuta, giustamente, la possibilità di anticipare rispetto all’uomo tale data in considerazione del lavoro domestico, della cura dei bambini e degli anziani, e di essere, in altre parole, parte dello Stato Sociale altrimenti assente. Parificare nei doveri le donne italiane a quelle europee quando prima non si è pensato a parificarle anche sul versante dei diritti è l’operazione più squallida politicamente e socialmente che si potesse realizzare. E sicuramente le più colpite sono le donne dei ceti medio e basso. Servizi carenti come asili nido non in numero sufficiente, scarsa assistenza agli anziani, trasporti pubblici poco efficienti e simili difficoltà rendono di fatto difficile molto più per una donna che per un uomo la vita attuale.
Sul piano del lavoro la parità di trattamento è lontana. La donna ha maggior facilità di essere licenziata, gode solitamente di minor retribuzione a parità di funzione svolta, e il fatto che possa rimanere incinta ne limita oggettivamente in molti settori la possibilità di carriera.
Le leggi come la 194, per una maternità consapevole e responsabile, o quella sul divorzio, che hanno fatto uscire l’Italia dal medioevo, devono ancora essere pienamente accettate dalla popolazione. La 194 in particolare è vista come un diritto all’omicidio e non come un modo per evitare le mammane e la carenza di educazione sessuale, tanto osteggiata in certi ambienti e da certe culture, italiane o di importazione.
La violenza operata ogni giorno su troppe donne che pensano sia naturale subirla, gli omicidi di donne da parte di mariti, compagni, fidanzati, fratelli e padri o familiari ed amici, o anche da parte di sconosciuti incontrati occasionalmente, la sudditanza psicologica presente e voluta da troppe culture legate al passato sono problemi di una gravità indicibile. E qualcuno si ferma al fatto che coniare un neologismo per descrivere l’omicidio di una donna solo per il fatto che è una donna non sembra opportuno.
L’immagine della donna seminuda usata come specchietto per gli allodoli maschi al fine di attirare l’attenzione e vendere ogni tipo di merce.
Il ruolo secondario e vessillifero in troppa televisione spazzatura nella quale il conduttore appare bello e condiscendente e spiritoso ma le donne mostrano culo e tette, che fanno tanto colore, assieme talvolta ad una piccola corte dei miracoli di idioti che fanno smorfie per far ridere il popolo, che così alleva i figli con idee a dir poco idiote e pericolose ben inculcate sin dalla tenera età.
La mancanza di rispetto nella società, in molte società, in quasi tutto il mondo, del ruolo fondamentale svolto dalla donna, dando per scontato che quello dell’uomo è più importante.
La quasi assoluta disparità nella considerazione a livello religioso, e, per restare a quella cattolica, l’impossibilità anche per le donne di arrivare ai massimi livelli della gerarchia della Chiesa.
La scarsa possibilità che ha una donna di vestirsi come vuole, nel rispetto delle leggi ma non delle regole di una morale imposta. Una donna può essere provocante nel modo di vestire, se lo desidera, senza per questo essere considerata una che vuole essere stuprata. Io a questi proposito aggiungerei che occorre anche un po’ di buon senso e di misura, ovviamente, e di rispetto di luoghi e ruoli. Ma questo esattamente alla stregua di quanto vale per gli uomini. Io, cioè, evito di mettere i pantaloni corti se vado in chiesa, di girare a torso nudo in un museo, e di vestirmi come se fossi in spiaggia quando sono al lavoro. Ma tutto il resto è nella mente di chi guarda, non necessariamente in quella di chi veste come preferisce.
Io poi vorrei la rivalutazione del ruolo della prostituta almeno al livello di quello dei clienti, che sono non di rado persone rispettate e rispettabili. Il lavoro che fanno dovrebbe essere riconosciuto, liberato dal controllo della malavita, reso più sicuro sul piano sanitario e della vita stessa della donna. Magari potrebbero pure pagare le tasse, in ché non sarebbe male per la nostra economia.

Ancora? Non so, credo che basti, per ora.
Quindi, ad ogni donna, per concludere, e con lo spirito che ho tentato di spiegare, buon 29 dicembre, buon 16 gennaio, buon 9 settembre e, ovviamente, buon 8 marzo. Con gratitudine.

Qui, sul blog, a partire dall'agosto 2011, parlo di femminismo.
                                                                                                 Silvano C.©


( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte.  Grazie)

sabato 28 dicembre 2013

Tasse sulla casa


Chi ricorda l’imposta comunale sugli immobili, la sua introduzione, la sua lenta soppressione per poi farla risorgere mostruosamente cambiata?
A scanso di equivoci io dico subito che ero favorevole all’ICI, per vari motivi, malgrado portasse un peccato originale che col tempo, invece di essere emendato, è stato amplificato. Ma procediamo per gradi.
Io credo che le imposte direttamente calibrate sulla persona e non genericamente sui beni acquistati siano molto più giuste ed eque, degne di uno stato moderno ed efficiente. Credo inoltre che pagare le tasse sia un dovere primario di ogni cittadino, senza accampare nessun tipo di scusa.
Qui occorre iniziare a spiegare meglio però, ed entro quindi nei particolari.
Tassare il mio conto in banca è meglio che tassare la benzina, il pane, i giornali, il teatro, i libri e il caffè. Il pane che costa molto incide pesantemente su chi ha meno mezzi economici, mentre lo stesso pane, per chi non sa come spendere i propri soldi, potrebbe costare 10 volte tanto e non sarebbe un problema. Lo stesso dicasi per benzina e gli altri generi citati.
Chi evade le tasse, o prende la residenza all’estero ma rimane di fatto in Italia e fa affari con noi italiani o svolge attività in Italia, o ancora esporta all’estero capitali, o svolge attività in nero, legato che sia o meno alla malavita, per me, è un ladro. Usa in qualche modo i nostri servizi, se non addirittura aiuti altrimenti destinati a persone bisognose, senza pagarli, anzi, spesso lamentandosi che non sono degni di un paese civile, e che è giusto non pagare le tasse perché lo Stato è il primo a non rispettare il Patto Sociale. Serve ripetere che se TUTTI pagassero, l’aliquota mostruosa che devono subire gli onesti o i tassati alla fonte scenderebbe a livelli di altri Paesi più virtuosi, quelli nordici ad esempio? Nulla tuttavia giustifica gli sprechi della gestione pubblica, i rapporti clientelari e baronali, quasi dinastici, le assunzioni solo per opportunità politica, i privilegi dei quali godono i nostri amministratori, ben superiori a quelli di altri Paesi, e il pagare le tasse non implica che si possa poi sperperare o rubare i soldi dei cittadini.

Ora io vorrei che tutti pagassero la tassa sulla casa, a partire dalla prima, senza differenza alcuna quindi tra prima, seconda o terza e così via, ma ad alcune condizioni molto chiare e precise:
1 – L’imposta deve tener conto di TUTTE le proprietà immobiliari del contribuente, e deve essere versata nei comuni dove queste proprietà si trovano.
2 –  Deve essere fissato un tetto in modo che sino al valore di 100mila euro, ad esempio di proprietà immobiliari complessive, nulla sia dovuto (la soglia si può alzare o abbassare, questo non è un problema, è il principio della franchigia adeguata e ragionevole che mi interessa)
3 – Il catasto deve essere uniformato e aggiornato su tutto il territorio nazionale, evitando che immobili di pregio risultino accatastatti come abitazioni popolari o che in centro si paghi meno che in periferia o ancora che ogni Regione o Comune agisca di sua iniziativa.
4 – Il gettito deve andare totalmente ai Comuni, senza quota per lo Stato, che ha altre forme di imposizione per soddisfare le proprie necessità.
5 – Deve essere verificata la congruità tra immobili complessivamente posseduti e reddito individuale. In altre parole un impiegato dipendente senza altri redditi non può possedere una villa perché non ha i mezzi per mantenerla, neppure se ereditata o regalata, e non deve essere la comunità a sostenere il peso di gestione della villa in questione. Del resto, se io vincessi ipoteticamente una Maserati, come potrei mantenerla e in quale garage la potrei sistemare? Dovrei cederla, immagino, o cambiare attività in modo da guadagnare abbastanza,
6 – Serve una forma di compensazione che renda giustizia nel caso di chi, pur con un alto reddito, non possiade immobili, ma viva in affitto o spenda in viaggi, auto ed altri beni. Oserei dire che pure il risparmio, tolta una quota esente (stessa logica della franchigia già esposta), debba essere tassato, in forma simile. Una sorta di patrimoniale su tutto quanto posseduto in immobili o altre forme insomma, rivedendo privilegi e situazioni di comodo, come gli investimenti all’estero, e combattendo i cosiddetti paradisi fiscali con un controllo incrociato di tutti nostri parametri fiscali, sanitari, professionali e familiari.

Ho detto tutto? Non credo. ma terrò conto di ogni critica, modificando quanto ho scritto di poco chiaro, incompleto o scorretto. Grazie per la lettura.

                                                                        Silvano C.©


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venerdì 27 dicembre 2013

Bruna


Sono trascorsi più di due anni, e quel punto di Rovereto non è più lo stesso, senza di lei e la sua edicola. Non sono mai stato un suo cliente abituale, ma era impossibile non entrarci ogni tanto, passando da quelle parti.
L’hanno trovata, Bruna, quando stava per morire, dentro il suo negozio, dove ormai ci viveva. Quello era il suo mondo.
Se entravo e non salutavo me lo faceva notare, potevo girare come volevo tra le migliaia di cose che conservava, recenti o vecchie, ma solo a condizione di dire cosa stavo cercando. Una rivista di cucina o di cucito, un fumetto o una cartolina, un modellino allegato ad una pubblicazione di un anno prima o la cartina turistica. Sarei rimasto ore a rovistare, ma non ho mai potuto farlo, sapevo di avere il tempo contato. Quando ho saputo che era scomparsa ho capito di aver perso una persona unica nel suo genere, ed il vedere poi per qualche tempo quelle serrande abbassate mi faceva venire tristezza.
Recentemente la rivendita, ridotta come superficie, aveva riaperto, con nuovi gestori, giovani, ma ha resistito poco. Se quel luogo simile ad un bazar si era trasformato in una moderna edicola, ed osservava i normali orari di qualsiasi altro negozio, oltretutto non in centro, ma in una zona leggermente fuori dai percorsi turistici, anche se situata sotto il Castello, a due passi da Municipio,  ponte Forbato e casa dei Turchi non poteva reggere. Ora è chiuso infatti, da mesi, e la licenza è in vendita, per quanto ne posso sapere.
Solo Bruna reggeva la concorrenza con una offerta che altri non potevano imitare, e per lei quella era la sua vita. Chi è venuto dopo di lei ed ha pensato che quello fosse solo un lavoro come gli altri ha capito tardi che i roveretani si aspettavano ancora quel suo spirito entrando da quella porta. E non lo hanno più trovato.
                                                                                                           Silvano C.©


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giovedì 26 dicembre 2013

Natale al club privè


 Sonia e Marcello decidono che tutto avverrà quella sera, dopo il pranzo di Natale a casa della madre di lei, con la sorella di Sonia ed il suo attuale improbabile compagno. Marcello, della famiglia, sopporta solo il suocero, è l’unico con una parvenza di normalità, ed è pure il più tranquillo e disponibile. La moglie invece si trova a suo agio anche con la sorella con la quale è in confidenza su tutto o quasi, ma sono entrambi d’accordo di non dire nulla delle loro intenzioni neppure a lei. Partiranno subito dopo lo scambio tradizionale di doni, verso le quattro del pomeriggio, diretti al locale trovato cercando in rete, poco oltre confine. Hanno già mandato una prenotazione via mail, come richiesto, e formalizzeranno l’iscrizione al loro arrivo. Pare non ci siano problemi e che sia una procedura abbastanza comune.
Quella mattina Sonia, controllando un’ultima volta il sito dell’Eve Club Privè, si è ritrovata una pubblicità invasiva che le ha bloccato l’accesso per più di un minuto. Un video dal titolo estremamente erotico: “Ravioli di cotechino e lenticchie: una ricetta originale per Natale”. Dopo i consigli culinari finalmente ha potuto inserire la pass ed accedere all’area soci. Si è guardata le foto e le descrizioni brevissime di quelli che probabilmente incontreranno durante la serata. A giudicare dalle sole fotografie e dalle età pubblicate saranno pochissime le coppie attorno alla quarantina, diversi sono uomini soli, non male ma sospetti, ed una coppia di donne dichiaratamente lesbo. Donne sole nessuna.

Il pranzo è interminabile, e la discussione sopra le righe tra madre e sorella genera alcune tensioni esplosive subito disinnescate dallo suocero. Antipasti, primo, secondi, dolci e frutta, vini e spumanti, e poi la tavola sgomberata dalle posate e dalla tovaglia per il rito dei regali. Decine di pacchetti, fiocchi e bigliettini che ognuno recupera o dalle stanze del piano sopra o dalle borse nell’ingresso. Poi i pacchetti vengono aperti. Calze di lana, sciarpe e libri. Confezione di tè aromatici, vari dvd e un paio di ciabatte. Una confezione gigante di cioccolatini belgi ed una bottiglia di amaro delle Alpi a 65°. Un trapano, presine da cucina e guanti di pelle. Una stecca di sigarette, qualche piccolo oggettino di argento e una vacanza prepagata. Poi, alla fine i saluti, lunghi pure quelli, e Sonia e Marcello salgono in auto dopo aver messo i pacchetti con i regali nel bagagliaio, assieme alle loro borse che fanno attenzione a tener nascoste.

Lui le chiede: “Sei sicura? Se non vuoi siamo ancora in grado di lasciar perdere tutto.” 
“No, abbiamo deciso. Ora andiamo, senza correre. Abbiamo tutto il tempo.”
Il viaggio è lungo, ma hanno diverse ore.

Mentre la strada scorre davanti ai loro occhi non sentono il bisogno di parlare, quasi per paura di rompere una sorta di attesa segreta. Malgrado quello che si sono detti i giorni scorsi entrambi coltivano con aspettative diverse quello che li aspetta. Riflettono forse sul come sono arrivati a quel punto dopo oltre 15 anni tra convivenza e matrimonio, senza figli, o si immaginano già sul posto, in un misto di paura ed eccitazione.

Nessuno del loro giro, per quanto ne sanno, ha mai fatto nulla del genere, e in ogni caso sperano vivamente di non incontrare persone in grado di riconoscerli. Hanno verificato di non aver nulla di visibile sull’auto che possa svelare da che provincia italiana vengono. L’anonimato aggiunge motivi per osare, per essere diversi, trasgressivi, ed è fondamentale.
Lui desidera provare una nuova esperienza e ravvivare la loro relazione, lei vuole recuperare un rapporto in crisi da tempo, ma entrambi sono molto curiosi, dopo aver fantasticato per mesi ed aver infine preso la decisione.

Una sosta tecnica subito dopo la frontiera in una stazione di servizio permette alla coppia di cambiarsi per la serata, o la nottata, non sanno ancora.

Lui ora indossa un abito elegante nero, quello comprato per il matrimonio di un cugino solo tre settimane prima. Si sente un po’ ridicolo, e non è sicuro di essere vestito giusto per l’occasione, ma non ha modo di saperlo se non quando vedrà come sono vestiti gli altri ospiti del club.  Lei indossa un abito corto, nero, attillato. Scarpe ed accessori li ha scelti con cura per essere provocante senza aver l’aria di una escort. Lui ha il fisico un po’ appesantito dal lavoro, dal cibo e dalla mancanza di sport mentre lei sembra una ragazzina, e la palestra che frequenta tre volte in settimana l’ha mantenuta in forma. Sono una bella coppia, niente da dire.

Cenano in un ristorante tipico, luci basse, non con vero appetito ma con lo scopo di far arrivare l’ora giusta per arrivare al club, ormai a pochi chilometri. Hanno volutamente bevuto un po’ più del necessario, per vincere le ultime paure, ed ora suonano al campanello della villetta circondata da un ampio parcheggio con le insegne discrete solo sulla porta. Lui ha indossato il cappotto appoggiato aperto sull’abito. Lei ha messo invece una giacca di pelle, e sente un po’ di freddo. Entrano, vengono fatti accomodare in uno spoglio ingresso e poi in un piccolo ufficio rivestito di legno dove consegnano documenti e pagano la non indifferente quota di iscrizione ricevendo in cambio due tessere dorate. Nell’aria un profumo forte, come di cera bruciata, o essenze orientali.

Le formalità si esauriscono in pochi minuti, imboccano un
corto corridoio ed in fondo una ragazza con l’aria di una segretaria dal trucco pesante prima prende il cappotto e la giacca per appenderli nel guardaroba e poi scosta una tenda ed indica una scala che scende. Lui, davanti, affronta le scale lentamente, mentre arriva dal basso musica in sottofondo e nella sala che si inizia a scorgere si vedono alcune persone parlare, sedute su divani e poltroncine.

Lei prova una prima sensazione di trovarsi nel posto sbagliato quando vede occhi che la inchiodano e la spogliano sul posto, si gira verso di lui, ma trova un’espressione che non conosceva sul suo viso mentre si guarda attorno a cercare prede femminili. Un uomo calvo e muscoloso, di età indefinibile ma solo, si avvicina subito a loro e chiede se la signora desidera compagnia. Dopo, forse, per ora si guardano attorno, grazie.

L’odore di sudore e di eccitazione impregna l’atmosfera. Dalla sala principale si accede a vari ambienti più piccoli, ed ovunque gruppi di persone sembrano intenti a giochi erotici più o meno espliciti. Ci sono diversi uomini soli, e poche donne, alcune delle quali sembrano professioniste e non hanno l’aria di far parte di una coppia.

Una mano la tocca inequivocabilmente mentre Sonia entra col marito in una di queste piccole stanze dove, su un letto circondato da una decina di persone, una coppia si esibisce.
Marcello è attratto dallo spettacolo e tenta di coinvolgere la moglie, ma lei gli chiede di allontanarsi, non si sente più a suo agio.

Lui non capisce, le dice di aver pazienza, hanno fatto tanta strada ed ora lui vuole almeno vedere. Sonia si fa consegnare le chiavi dell’auto, e gli dice che uscirà ad aspettarlo fuori. Lui resti pure quanto desidera.

Ripercorrendo gli ambienti da sola si sente al centro dell’attenzione, ma ora si chiede cosa l’ha convinta a venire in quel posto, e come è arrivata al punto di immaginarsi fare sesso con altre persone sconosciute. È una fantasia che ogni tanto ha avuto, certo, non è mai stata una santa, ma in quel modo e con quella gente tutto le sembra squallido, schifoso, sporco. È veloce e nessuno riesce più ad avvicinarla prima che risalga le scale. Dice due parole di convenienza alla donna che trova accanto alla tenda, riprende la sua giacca ed esce nel parcheggio.

Quando Sonia si siede in auto e guarda l’orologio è quasi l’una. Attorno non si muove nulla. Spegne ogni luce, chiude le portiere ed aspetta. Marcello torna che sono quasi le quattro di mattina del giorno di Santo Stefano, e lei si rende conto lucidamente che quello appena trascorso è stato l’ultimo Natale passato col marito.   
                                                                                                  Silvano C.©

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martedì 24 dicembre 2013

10 volte Buon Natale, forse…


Buon Natale
Se sei giusto e te lo meriti, altrimenti prendi questo come un augurio fatto pro forma, come se fossimo in ascensore e distrattamente ti chiedessi come va senza aspettarmi una risposta sincera. In altre parole, se non sei la persona giusta, non ti auguro un bel nulla.

Buon Natale
Se pensi a tanti anni fa e ricordi il tempo nel quale la magia vera c’era, quando tutto poteva veramente avvenire, se lo pensi ancora oggi perché sei un po' ingenuo o lo speri per tutti.  

Buon Natale
Quando fai progetti e non sei cinico, se non rubi e non dimentichi, se ogni tanto fai qualche regalo.

Buon Natale
Non perché sei buono, perché so che non lo sei, ma solo perché mi fa piacere dirtelo. Vuoi mai che ti vengano sensi di colpa?

Buon Natale
Al primo che appena vedo mi regala un sorriso.

Buon Natale
Sia che tu creda in qualche cosa sia che tu non creda in nulla.

Buon Natale
Anche se non ti interessa l’augurio. Mettilo da parte, per quando ne avrai bisogno.

Buon Natale
In carcere ed in ospedale, tra le baracche e dove fa freddo. Anche solo per un attimo.

Buon Natale
A chi telefona, dopo tanto tempo. A chi è lontano nel tempo e nello spazio.

Buon Natale
A chi non crede al Natale.

                                                                                                                           Silvano C.©


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domenica 22 dicembre 2013

Favole di Natale


A guardare la pubblicità il Natale che ci aspetta tra pochi giorni sarà ricco, con gente felice in case luminose, calde, piene di amici e canti sereni. Gli invitati arriveranno con auto lussuose, saranno eleganti, porteranno quel vino ricercato, quel profumo esclusivo, quel dolce simbolo della festa.
A guardarsi intorno le cose sono leggermente diverse. In certi luoghi si incontra sicuramente gente che sorride, per fortuna, ma poi, se si ascoltano i discorsi che gli altri si scambiano, rubando spezzoni di vita altrui, emergono difficoltà e paure, condizioni di incertezza per il futuro o di reale ed attuale difficoltà.
Io vedo i frequentatori delle sale gioco sorridenti, ma questo sui manifesti. Quelli che mi capita di osservare di persona giocare alle slot diffuse capillarmente hanno un’aria per nulla rilassata.
Il cenone che vuole imitare la ricchezza, l’eleganza e la classe di chi ha successo nella vita diventa una guerra triste combattuta con aragoste congelate al costo di 6.99 € cadauna comprate al discount.
Alcuni per Natale ritengono giusto fare debiti per poter comprare l’ultimo modello di tablet o di prodotto della Mela. Sempre meno numerosi sono quelli che si permettono viaggi in località esotiche o turistiche in Italia, e l’esercito delle persone in difficoltà aumenta, poco a poco, inesorabilmente, mentre cresce sempre di più la ricchezza di chi è ricco, anche se diminuisce il loro numero.
Ormai è superata, secondo me, l’idea della redistribuzione del reddito. Si dovrebbe più correttamente parlare di restituzione di quanto qualcuno ingiustamente ha percepito o nascosto all’estero o rubato o guadagnato legalmente ma a spese di paghe da miseria e di precarietà di migliaia di persone.
Una bella favola è quella che mi piacerebbe realizzare per tutti, ma è una favola, lo so, e tale resterà.
Nella mia favola l’evasore cattivo incontra il cacciatore buono che lo fa sparire senza che nessuno pianga per lui, poi prende tutto il suo tesoro e lo regala alle famiglie del paesino la sera del 24 dicembre, aiutato da una vispa Cappuccetto Rosso.

L'illustrazione l'ho trovata in rete, esattamente qui.
                                                    
                                               Silvano C.©

                                                                                                       


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sabato 21 dicembre 2013

L’omino di Pongo ed il bambino


Al bambino piaceva modellare con la cera colorata, il Pongo, e ci costruiva di tutto. Auto e sommergibili, navi e carri armati. Giocava alla guerra, e le formiche erano costrette a volte a fare da equipaggio alle navi che si scontravano ed affondano in mari bacinella, affondando anche loro con le loro navi, come succede a tutti i marinai. Era un po’ crudele, quel bambino, come molti bambini, e se la prendeva solitamente con chi non poteva ribellarsi. A volte tormentava il gatto di casa, o in estate rincorreva con i raggi concentrati del Sole gli insetti che gli capitavano a tiro. Non sempre trovava bambini della sua età e si ritrovava a giocare da solo, perché la mamma aveva anche paura che si ammalasse a correre troppo, e quindi spesso non poteva uscire.

Col Pongo costruiva eserciti che si combattevano, e dopo tante battaglie i bei colori della cera da modellare pian piano si mescolavano e non erano più i bei rossi, gialli, verdi o blu delle confezioni nuove, ma otteneva una specie di grigio scuro, perfetto per costruire fortezze e macchine da combattimento.

Una volta modellò un omino, ci giocò un po’ mentre tormentava gatto e formiche, ma poi questo finì dentro una scatoletta a forma di casa, ed il bambino se lo dimenticò sino ai giorni di dicembre, prima di Natale. Aprendo quella scatoletta ricomparve l’omino, ed il bambino, tutto eccitato, lo mise sul ponte di comando di una specie di ragno meccanico ad aria compressa col quale si divertiva a svegliare il gatto quando dormiva tranquillo.

L’omino fu testimone di molte piccole cattiverie, senza fare nulla, semplicemente rimanendo fermo dove il bambino lo sistemava; non poteva fare altro.

Una sera però, mentre tutti dormivano ed il fuoco nel camino si stava lentamente spegnendo, l’omino si rese conto che poteva muoversi. Chissà se lo aveva sempre potuto fare, forse non ci aveva mai provato prima. Si spostò dall’angolo dove stava con gli altri giocattoli, si avvicinò al camino ed alle sue braci. Avvertì il calore, piacevole, e camminò sino a quando iniziò a sentire che i piedi si scioglievano. Lui continuò deciso, e una piccola brace poco dopo in un guizzo lo toccò e il fuoco in un attimo lo fece sciogliere tutto e lo consumò, lasciando solo una piccola macchia sulla pietra vicina alla griglia che faceva cadere in basso la cenere.
                                                                                    Silvano C.©


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venerdì 20 dicembre 2013

La Sala Boldini


A Ferrara c’erano, che io ricordi, il Diana, l’Astra, il Corso, il Verdi, il Garibaldi, il Ristori, il vecchio Apollo in Porta Reno, il San Pietro, il Rivoli, il Manzoni, l’Eden, il Cinema Teatro Nuovo, la Sala Estense, il Boldini, e poi il nuovo Apollo, nella sistemazione attuale, e anche l’Alexander, ultimo nato e tra i primi a morire di recente. C’erano e ci sono i parrocchiali di San Benedetto e Santo Spirito. Alcuni negli anni hanno cambiato nome, prima di cessare l’attività. Uno è diventato a luci rosse. Quasi nessuno di questi vecchi cinema è rimasto. Il tempo li ha cancellati, fatti dimenticare. Di alcuni restano tristi scheletri, altri si trasformano, diventano altro e vivono una nuova stagione, come è avvenuto al Capitol, ex Garibaldi ed ex Cinema dei Ferrovieri.
Poi è arrivato l’Uci Cinemas, nel Centro Commerciale Darsena City. Il nuovo, che non sopporto, con i posti numerati, con le forche caudine dei popcorn e della coca, con l’obbligo di sedere tutto il tempo accanto a chi mangia allegramente e rumorosamente, e che programma essenzialmente film commerciali, i cosiddetti blockbusters. Il nuovo Apollo anni fa aveva rischiato la chiusura, poi è andato in gestione all’ARCI, ed ha resistito, infine è arrivata la nuova gestione, e la deriva verso il modello Darsena City è diventata chiara, a tutti.
Ormai, a Ferrara, si salvano solo due sale parrocchiali e la Sala Boldini.
Quando posso tornare in quei luoghi respiro ancora quell’atmosfera, quel modo di vedere il cinema che altrove non c’è più.
Certi luoghi della memoria, baluardi più delle mura degli Estensi della nostra identità, andrebbero protetti, perché sono cultura di una città. Quindi, con nostalgia, ecco quello che mi porto nel cuore.
L'ingresso, visto da via Previati

L'antisala

Un manifesto sul muro, prima di entrare nella sala

La sala, prima dello spettacolo. Tutto deve ancora avvenire.

Brevissima nota storica.
Il complesso architettonico nel quale si trova la Sala-Cinema Boldini è inserito in un più ampio progetto di sistemazione urbanistica, che nel suo insieme prende il nome di Addizione Novecentista realizzato a partire dagli anni '20 e continuato sino al 1939 che comprende anche la Scuola elementare "Alda Costa", il Museo di Storia Naturale e il Conservatorio "Girolamo Frescobaldi".




                                                                                    Silvano C.©


( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte.  Grazie)

giovedì 19 dicembre 2013

Mercatino di Natale a Trento



Da diciassette anni, a Trento, è scesa la tradizione nordica del mercatino di Natale che a Bolzano era arrivata sei anni prima. Richiama folle di turisti, in particolare durante il fine settimana. Io ho fatto un giro, oggi, appena dopo l’apertura, tra le bancarelle, e qui di seguito voglio mostrare un po’ di quello che vi si trova. Questo spero sia utile sia per chi deciderà di visitarlo e per chi è solo curioso, e non potrà venire a Trento.
        
 








                                      

































Quando c'è ressa non si possono vedere le cose con calma, mentre quando sono passato io i visitatori erano pochi, praticamente soli trentini. Manca poi la neve, per il momento. Con la neve l'atmosfera è subito diversa.















                                                                                 Silvano C.©


( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte.  Grazie)

martedì 17 dicembre 2013

Sei uno zero?


(610?)
Se ti dicono che sei uno zero non prenderlo come un insulto. In matematica lo zero ha un valore enorme, più delle altre cifre che compongono un numero, e tra i simboli usati merita molto rispetto. I primi ad usare lo zero col significato moderno furono gli indiani, ed in seguito furono gli arabi a farlo conoscere a noi europei, probabilmente grazie ai commerci ed al Fibonacci. In quel tempo noi usavamo ancora il sistema dinumerazione romano, estremamente artificioso per eseguire conteggi complessi come quelli necessari all’economia in continua espansione.
Detto questo, che è storia e storia della matematica allo stesso tempo, potrei tentare alcune riflessioni.
La prima è che la cosiddetta superiorità culturale di un popolo non esiste. La cultura passa semplicemente da un popolo all’altro, in certi periodi storici qualche nazione domina aree più o meno estese del pianeta, ma poi, fatalmente, tutto passa, e chi arriva secoli o millenni dopo si arroga il diritto di essere il depositario di una civiltà che altri hanno solo copiato. Nel nostro recente ventennio fascista Roma era la fondatrice di un impero unico, faro di civiltà e culla di ogni altra cultura. Gli altri, semplicemente, barbari.
Poi mi viene da pensare a certi slogan di questi giorni: “uno vale uno”. 
Ma quando mai. La cifra uno vale in funzione del posto che occupa. 
Ad esempio non dirmi che gli 1 nei due numeri seguenti hanno lo stesso valore: 1940 e 5931. Nel primo caso vale 1000, nel secondo 1. Ed infatti anche i sostenitori del movimento che ha inventato questo slogan devono ammettere che, alla prova dei fatti, il leader non vale quanto un semplice eletto, un sostenitore o un elettore.
Per concludere mi vengono poi alla mente una serie di fatti contraddittori.
La matematica è veramente democratica, nel senso che le cifre opportunamente considerate concorrono in maniera uguale alla formulazione di modelli interpretativi della realtà, funzione principale della disciplina.
La matematica è assolutamente antidemocratica, perché se la maggioranza pensa che 8+5=14, questa ha torto, ed ha ragione anche l'unico a sostenere che il risultato è 13 .
La matematica è del tutto inaffidabile se non la si conosce un minimo, o non si conosce a fondo l'oggetto o il tema del quale si interessa, perché si presta ad interpretazioni di comodo ed a manipolazioni, tanto più facili e possibili, di fatto usate, quando si fanno indagini statistiche e si evidenzia solo quanto fa comodo. E questo avviene in campo politico, amministrativo, scientifico ed economico.
Quindi se tu sei una cifra, fai sempre attenzione a che posto occupi, per capire il tuo valore. Se sei uno zero, poi, sappi che senza di te nessuno può pensare di valere più di nove. (questo nel nostro sistema decimale, cioè nella numerazione araba).


Immagine: Al-Khwarizmi
                                                                      Silvano C.©


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lunedì 16 dicembre 2013

Voto e suffragette



Le suffragette furono, nell’800, un movimento di donne che cercarono di ottenere il suffragio, cioè il voto. Già nel ‘700, l’anno della rivoluzione, vi furono donne che iniziarono ad affrontare il problema, come ad esempio Mary Wollstonecraft in Inghilterra o Olympe de Gouges in Francia, finita ghigliottinata per aver osato criticare Robespierre. Le donne inglesi vinsero definitivamente la loro battaglia solamente nel 1928, quando ottennero il voto per tutte, mentre la Nuova Zelanda lo aveva concesso già nel 1893.
Per venire alla situazione italiana, le donne poterono votare solo dopo la seconda guerra mondiale, a partire dal 1946, e contribuirono ad eleggere l’Assemblea Costituente e votarono anche per il referendum che portò l’Italia a diventare una Repubblica.
Tra i paesi europei a noi vicini fa impressione, ad esempio, che la civilissima Svizzera abbia concesso il voto alle donne solo nel 1971.
La possibilità di votare, in Italia, un tempo diritto-dovere, oggi è solo un diritto, per il quale generazioni prima della nostra hanno lottato.
Oggi, in una trasmissione, ho sentito che ormai il non voto è inteso come nuova forma di voto, un voto di protesta, un voto contro tutto il sistema politico insomma, mentre il voto normale sarebbe solo un voto contro un avversario politico, e non un voto a favore di un’ideale, di una visione del mondo, un voto di appartenenza insomma.
Ebbene, io sono della vecchia scuola. Prima di tutto voto e voterò sempre. Secondo, voterò sempre per la mia idea, non contro un altro partito o un altro movimento. A volte anche altri, mi rendo conto, dicono una parte di verità ed ovviamente devo fare le mie scelte, non potendo votare tutti. Sicuramente il mio voto andrà sempre a chi, nella mia opinione personale, sarà dalla parte delle donne, dei deboli, dei giovani che cercano lavoro e degli anziani che devono concludere dignitosamente la loro vita. Voterò contro l’evasione fiscale, a favore della redistribuzione del reddito, a favore dei diritti di scelta laici su temi come procreazione, eutanasia, ed unioni tra adulti consenzienti, qualsiasi sia il loro sesso. Sono per una educazione scolastica pubblica non confessionale, per una sanità pubblica razionale e nazionale, senza cioè differenze di trattamento tra cittadini di regioni diverse. Sono a favore di un sistema politico che non faciliti solo chi è dotato di grandi fortune personali da spendere per influenzare gli elettori, e vorrei che la televisione, pubblica o privata che sia, fosse maggiormente sottoposta a controlli in modo da evitare una sottile e continua campagna elettorale depistante a favore dei soliti soggetti.
Ecco, le suffragette lottarono per raggiungere il riconoscimento delle donne come soggetti politici, non come semplici oggetti. Ora sembra che quei tempi siano trascorsi inutilmente, vedendo quello che succede nel mondo.

Aggiungo un solo invito, rivolto alle donne che leggeranno. Entrate in Wikipedia, servono donne in una struttura organizzata su base volontaria per scrivere e completare voci di un'enciclopedia che è solitamente la prima ad apparire nei motori di ricerca. Oggi la maggioranza degli estensori, in Italia, è costituito da popolazione maschile.
                                                                             Silvano C.©


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domenica 15 dicembre 2013

Tutto sarebbe stato diverso se a quel bivio avessi preso la direzione opposta

“Tutto sarebbe stato diverso se a quel bivio avessi preso la direzione opposta…”
Quando si alza dal letto ricorda ancora parte dei sogni o degli incubi notturni, prima che il Sole li sciolga del tutto o in parte. Ricorda specialmente le persone che lo vengono a trovare, anche quelle scomparse da tempo, che pensava fossero uscite per sempre dalla sua vita, non di rado per colpa sua.
È sempre stato un vigliacco, in fondo, gli costa ammetterlo e odia chi sa farglielo notare, oppure lo accusa di un egoismo, ma odia perché odia essere costretto alla verità.

“Tutto sarebbe stato diverso se a quel bivio avessi preso la direzione opposta…”
Si convince che nessuno mai esce dalla vita di nessun altro, per nessun motivo. Tradimenti o lontananze, fine di progetti comuni, disinteresse e persino morte nulla possono col ricordo, col suo ricordo.
Non sa se è idea consolatoria di fede o pagana, perché non ha capito nulla, non è certo di nulla, ondeggia in teorie che non sono mai confermate, seguace di una setta religiosa che non esiste, che è sua invenzione, suo adattamento, frutto di riflessione ed educazione, pietà e superstizione, in una mescolanza assurda ed impossibile da esprimere organicamente.

“Tutto sarebbe stato diverso se a quel bivio avessi preso la direzione opposta…”
È convinto di credere nell’uomo ma smentisce col suo comportamento questa fiducia, perché in realtà sa che l’uomo ha bisogno di una legge, di una guida esterna e di una interna, e non sa definire in alcun  modo sicuro questa legge morale o questo potere temporale. In ogni inizio vede ciò che smentisce ogni premessa, e tutta la costruzione così si regge sul nulla. Invidia ma prova anche compassione per chi ha idee incrollabili. Sa che sbagliano e i miliardi di persone convinte di quelle idee non sono un argomento che lo convince.
 
“Tutto sarebbe stato diverso se a quel bivio avessi preso la direzione opposta…”
La verità? In nessun luogo.  
Forse la direzione scelta non fa differenza alcuna. Conosco un gioco nel quale alla fine il percorso del giocatore arriva invariabilmente in quel punto preciso. E così sarà.

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