sabato 24 settembre 2011

Sulla legge 194 - Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza

 
È faticoso, lo è sempre, cercare di difendere i diritti e la verità che sentiamo dentro di noi. 
E parlo di verità che si sente, che si vive, che non si vuole imporre agli altri se non come richiesta di accettare una diversa visione della vita, non certo di condividerla o di farla propria. 
Non mi riferisco cioè alla Verità, quella con la V maiuscola, quella che discende da una fede religiosa, da un dogma indiscutibile, perché io credo che nessun essere umano possa arrogarsi il diritto di portare la Verità, accusando praticamente tutti di essere in errore se non si condivide tale rigida posizione.
In altre parole non accetto che, per motivi di presunta superiorità morale, si possano chiamare assassini coloro che sostengono la Legge dello Stato 194, in pratica almeno il 50% degli italiani.

Chi vuole a tutti i costi imporre la propria visione legata all’insegnamento della Chiesa Cattolica, o alla sua coscienza, togliendo agli altri, implicitamente, il diritto di avere la propria coscienza, compie un atto di arroganza abissale, si rivela un estremista,  nega la libertà altrui

Io non accetto, da sempre, chi semina odio. E autodefinirsi pro-vita significa esattamente questo, seminare odio sotto le mentite spoglie di persone umili e rispettose. Significa definire chi la pensa diversamente pro-morte.  
Che dialogo sarà mai possibile con chi mi reputa un assassino, un delinquente, con chi cioè è prevenuto a tal punto contro di me?

Eppure la legge 194 è una legge fondamentale per un paese civile e laico, è una legge da difendere con ogni mezzo, è uno strumento di progresso conquistato dalle donne e da chi le ha sostenute alla fine degli anni 70, dopo lotte e innumerevoli tragedie personali.

Voglio però sgombrare il campo da equivoci. L’aborto non è un successo, non è una conquista, non è una cosa del quale andare orgogliosi, né come donne né come uomini.  
Il vero scopo della legge è la libertà, è il superamento delle censure sul corpo femminile, è la dignità della donna, della coppia, della famiglia e dei figli. 
Il fine ultimo non è far abortire, è esattamente l’opposto, cioè permettere una maternità consapevole e non imposta da leggi tribali, è la libertà di avere un figlio desiderato, amato, cercato, con un nido pronto ad accoglierlo, e non una situazione tragica, un handicap grave che lo segnerà tutta la vita, o l’affido del proprio figlio ad altri genitori partendo da una situazione personale comunque drammatica, ignorando cosa prova una madre o una donna che non vuole o non può essere madre.

Se chi giudica abortista chi difende la 194 cominciasse ad ammettere una sana educazione sessuale in ogni ordine  di scuole (cosa frenata da molte associazioni di famiglie cattoliche di stretta osservanza), se queste persone chiedessero una volta per tutte ai preti di pubblicizzare i mezzi anticoncezionali, che sicuramente non uccidono nessuno, se smettessero di proibire la distribuzione dei preservativi tra gli studenti, se facessero opera di educazione seria delle ragazze di recente immigrazione senza barricarsi nelle scuole private cattoliche dove gli stranieri sono praticamente assenti (come del resto gli handicappati), e se alle ragazze incinta si creassero le condizioni non per la carità, ma per un vero aiuto di Stato, allora sicuramente calerebbero ancora di più gli aborti ancora oggi praticati. 
Diffido dei politici ipocriti divorziati e di quanti in privato tradiscono ed abbandonano ma che si dicono pubblicamente a favore della famiglia.

Le donne che fanno un uso anche tre volte l’anno della pillola del giorno dopo vanno educate, perché certi comportamenti non sono accettabili, occorre dirlo. Quella pillola non è un anticoncezionale normale, ma questo deve essere spiegato, e l’educazione deve essere capillare, non casuale, affidata a qualche medico o a qualche insegnante volonteroso.

E poi si arriva al punto che i cattolici non accetteranno mai, ma che occorre puntualizzare. Una cellula fecondata, cioè uno zigote, non è un essere umano. Io non credo che arrivi un’anima a renderlo tale, al momento del concepimento. Non ci credo. E’ mia libertà non crederci.

Se nelle fasi iniziali dello sviluppo embrionale e fetale, prima che il sistema nervoso inizi a provare sensazioni non meccaniche, non vegetative, prima che arrivi il dolore insomma, o la coscienza, si cade in uno dei motivi per interrompere la gravidanza previsti dalla legge, è perfettamente lecito farlo. Non si commette alcun omicidio, non si uccide nessun essere umano. Un essere umano è tale dal momento della nascita, non al terzo o al quarto mese. In quella fase è solo parte della donna che lo sta formando e nutrendo, non è capace di vita autonoma, neppure di respirare. Né di nutrirsi. Non parliamo poi di capacità superiori.

La legge è chiara sulle motivazioni che possono dare diritto alla interruzione volontaria della gravidanza, e parla di condizioni “per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito”. Più chiara di così non potrebbe essere. Non si parla di semplice cambio di umore, o di paura di smagliature nella pelle. Si parla di salute fisica, e di difficili condizioni. Molte di queste condizioni potrebbero essere superate e prevenute da uno Stato sociale serio, o da una seria informazione, ma lo Stato è assente e l’informazione è negata.

E poi viene il problema degli obiettori, che pretendono di svolgere un ruolo nelle strutture pubbliche ma senza applicare una legge dello Stato. E non rinunciano, per questo, a parte dello stipendio, per la parte di funzione che non svolgono. E le stesse strutture pubbliche sono colpevoli perchè non garantiscono, con un adeguato numero di medici non obiettori, il servizio in tutto il territorio nazionale. Qui il gioco diventa veramente squallido. Un medico in una clinica cattolica, ovviamente, verrà invitato ad essere obiettore. Allo stesso modo come un insegnante di religione designato dalla curia sarà invitato a rispettare i principi cattolici (mai conosciuto un insegnante cattolico in servizio divorziato, ad esempio). Nelle strutture pubbliche la cosa è ancora controllata in parte dai cattolici, e, a parte questo, non viene garantita una quota di medici non abortisti. Alcuni medici, culturalmente non obiettori, in certe condizioni si dichiarano obiettori per evitare di essere costretti a praticare solo aborti per tutto il loro tempo professionale. Ed è insomma una sorta di diritto concesso ai medici negandolo in contemporanea alle donne.

Ci sono poi i casi assurdi di medici abortisti uccisi dai pro-vita, negli USA, terra di libertà e contraddizioni.
Potrei continuare, in questo sintetica esposizione, e magari se avrò altri spunti lo potrò anche fare, ma vorrei concludere con la realtà che c’era in Italia prima del 1978. Non so quanti aborti clandestini venissero praticati. Ci sono solo stime, che per alcuni non sono attendibili. E non so neppure quante donne più fortunate andassero in cliniche private o in Svizzera. So però che anche una sola donna, anche una sola madre morta in questo modo non era accettabile, perché lasciava figli, marito, affetti. Ed era una persona che avrebbe potuto dare ed avere ancora tanto dalla vita. Una donna solitamente giovane, sana. 
Io, di fronte a questa realtà, non ho dubbi. Meglio eliminare un grumo di cellule (che forse un giorno avrebbero potuto diventare un essere umano) che uccidere una donna. E meglio ancora prevenire tutto questo, per non obbligare alcune donne al dramma doloroso di un aborto, che le segnerà comunque per tutta la vita, perché nessuna donna seria pensa all’aborto con leggerezza, mai.  Questo lo possono fare certi uomini, ma solo certi uomini.
                                                                                                                Silvano C.©
( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte.  Grazie)

giovedì 22 settembre 2011

anche i musei diverranno virtuali?


Era freddo, poco illuminato, anche un po’ cadente. I soffitti altissimi, in un vecchio palazzo vicino al municipio, a Rovereto. Io ci andavo con i ragazzi, mi piaceva, lo conoscevo in tutte le sue sale, e le lezioni mi venivano leggere. Le vetrine erano sistematiche, ordinate, e anche se le collezioni non erano enormi svolgeva in modo onorevole il suo ruolo.
Poi lo hanno chiuso, hanno spostato tutto il materiale nella nuova sede, bella, moderna, piena di sale di rappresenta, un bookshop, diversi laboratori per fare lezioni con i ragazzi, un cortile accogliente. Però le vecchie sale sono sparite. Le collezioni che si potevano ammirare nella antica sede sono state rinchiuse nelle cantine, raccolte in enormi scaffalature mobili e visibili solo per gli esperti. Le vetrine tradizionali si sono ridotte di numero ed importanza, messe quasi in modo casuale, come se non ci fosse l’intenzione di far vedere gli insetti, i mammiferi, i pesci, gli uccelli in modo sistematico, ma a campione. Un po’ di questo, un po’ di quello, e poi mille altre iniziative, ma senza il museo reale e tradizionale, meglio il museo virtuale.

Capisco che ormai devo andare in pensione, e che sono a mia volta un dinosauro da museo, o meglio, da cantine di museo, perché non credo che sarei un bello spettacolo se fossi esposto. Lo capisco dal fatto che mi sento superato dai tempi, e dal fatto che non sento nessuno lamentarsi di quello che succede a queste nostre bellissime istituzioni, ammesso che ancora non chiudano per mancanza di fondi.

Questi luoghi di cultura sono mutati, si sono evoluti in qualcosa che non riconosco più. Una sala bellissima di invertebrati marini, in un altro museo, a Verona, è sparita, per lasciare il posto a esposizioni diverse, a spazi laboratoriali, a simulazioni di ambienti naturali. Non è giusto modificare in questo modo ciò che era, annullare il passato, sostituirlo con il nuovo senza lasciare quasi traccia di ciò che era.

La scuola viene sacrificata nelle sue ora di insegnamento, viene mortificata nelle sue risorse sempre più limitate, e la scuola pubblica deve convivere con problemi enormi di alunni sempre più lontani dall’idea di impegno e di insegnanti che sono considerati falliti o incapaci, e sono sottopagati. La professione viene considerata sempre meno strategica dal nostro Paese miope. E poiché la scuola ora non ha i tempi o i mezzi per svolgere appieno le sue lezioni di scienze trova i musei pronti ad integrare con allettanti proposte didattiche, trasformando i musei in surrogati delle scuole stesse.

Non so se tutto questo è giusto. Sicuramente so che non mi piace.

                                                                                                    Silvano C.©
( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte.  Grazie)

lunedì 19 settembre 2011

costumi che cambiano (o restano immutabili nel tempo)



Il moralismo porta ad una visione distorta dei fatti.  Penso alla prostituzione che è vista, se praticata in ambienti di un certo livello sociale, con occhio sempre più benevolo, cioè come libertà di ogni donna, se lo vuole.
Non intendo limitare tale libertà, tuttavia ci sono paletti invalicabili che vanno tenuti presenti.
Un primo punto fermo è che in nessun caso le ragazze minorenni devono essere coinvolte in attività legate alla prostituzione o comunque al sesso con adulti che le pagano (o che le obbligano).
Un altro punto fermo è che se esistono leggi che puniscono i reati legati al mondo della prostituzione, queste leggi vanno rispettate, oppure vanno abrogate.
Un ultimo punto fermo è legato al giro di affari mostruoso che si nasconde dietro queste attività. Occorre combattere in ogni modo la malavita che sfrutta questo mondo ai margini, che a tutti è noto, che occorre in qualche modo portare alla luce del sole per i suoi aspetti economici. 
Chi parla di libertà e accusa gli altri di moralismo quanto tratta questi temi può indurre un intero mondo giovanile e precario a cercare in tal modo apparentemente facili guadagni, spesso in nero, facilitando il degrado sociale e proponendo modelli per lo meno discutibili.
                                                                                       Silvano C.© 
( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte.  Grazie)

domenica 18 settembre 2011

non sarò mai il più forte


Non sono il più forte, non credo di esserlo mai stato.
Non ho coraggio, non ne ho mai avuto.
Conosco i miei limiti, ed alcuni di questi ormai non mi pesano neppure più, li accetto e mi sembrano solo un mio modo di essere.
So però che tu mi hai aiutato,
mi hai aiutato distruggendo il mio schermo, tanti anni fa (e con esso alcuni miei schemi)
oppure facendomi sentire più vivo,  vero, sincero.
Mi hai consolato, mi hai dato amore e amicizia, mi hai accettato.
Mi hai anche rifiutato, criticato o semplicemente dimenticato.
Di tutto questo ti ringrazio, anche di quello che non capisco, perché non sei sempre la stessa, e a volte mi confondo, mi perdo, e so che non sarò mai il più forte.
                                                                                             Silvano C.© 
( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte.  Grazie)

giovedì 15 settembre 2011

onanismo emotivo

(Quelle che seguono sono riflessioni personali che probabilmente non interessano a nessuno. Ignorarle tranquillamente quindi è pienamente corretto)
Non cerco nuovi amori né nuove emozioni, spero di non cercare troppo di sembrare diverso da quello che sono, non voglio mentire alle persone, non voglio neppure essere migliore, perché sono un po’ vigliacco e so di esserlo. Ho commesso errori, in passato, ed altri ne commetto ogni giorno, a volte facendo soffrire inutilmente perché non valuto che posso ferire, allo stesso modo nel quale posso essere ferito. Mi illudo di essere capito, ma non è sempre così, come del resto io non sempre capisco o sono pronto a capire. Ho tagliato molti ponti col mio passato, o perso molte persone, e sono un solitario che vorrebbe stare in mezzo alla gente, contraddicendomi ad ogni mio atto, stupendo chi non mi conosce, assumendomi alcune mie responsabilità, rifiutandone altre. A volte mi rendo conto della difficoltà dei rapporti umani, di quanto investimento chiedono, e non capisco come possono vivere alcune persone tra tanta gente, con una parola per tutti, con una attenzione ammirevole e sincera, con una vera apertura e disponibilità.  


Io sono selettivo, separo, metto priorità, creo ordini di valore, che a volte smentisco per primo. Posso generalizzare tutto questo, rendendolo una riflessione di carattere generale? Non credo, sarei veramente troppo pieno di me, e mi proporrei come metro, mentre so di non esserlo. Ho ammirato persone che hanno dato quello che potevano con onestà. Ho ammirato un maestro, ammiro mio padre, ho ammirato ed ammiro un amico, ho ammirato i miei nonni materni, ma ammiro poche persone, devo dire, tra quelle da me conosciute da vicino. Quindi ho pochi modelli ai quali ispirarmi, e capisco che difficilmente posso trarne una linea univoca di azione.  Non credo di meritare l’ammirazione di persone che hanno creduto in me. Non so se il segreto della vita sia l’accettare quello che ci è toccato, o se invece piuttosto sia cercare sempre cose nuove.  Sono fortunato, tuttavia, e posso usare quello che ho, mentre chi non ha questa opportunità ovviamente deve poter cercare, è giusto che cerchi. Come è giusto che cerchi pure chi ha questo ed altro, perché io non sono un giudice per gli altri, non ho una morale da imporre a nessuno, ho solo una mia via personale, e devo accettare le vie degli altri, senza pregiudizi.

Vorrei dare un po’ di serenità a chi mi è possibile raggiungere, perché pure io mi disseto poi di questa serenità. Trovo mille volte più appagante il piacere che mi deriva dalla felicità degli altri piuttosto che dalla mia. L’onanismo emotivo non porta a nulla, è sterile e limitato. Un sorriso di un ragazzino mi ripaga di una notte di malumore, una parola di una persona che stimo mi rende più forte, una carezza mi imbarazza, a volte, ma poi sento che mi serve. Non riesco quasi mai a manifestare sentimenti, se non in modo goffo, e trovo ingiusto questo modo di essere. Vorrei chiedere scusa ad alcune persone per ciò che ho commesso di sbagliato, o almeno iniziare a farlo. Quante cose vorrei, in fondo. Forse mi basta però ancora fare progetti, vedere mutamenti e sognare una certa stabilità, immaginare un futuro diverso, e fare qualcosa per raggiungere quel futuro.

                                                                                                                                           Silvano C.© 
 
( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte.  Grazie) 

martedì 13 settembre 2011

Nostalgia



Un giorno nuovo.
Una sera arrivata troppo presto.
L’inizio di una avventura che sembra una storia già vissuta
e che potrebbe essere per l’ultima volta
Nostalgia per un nuovo inizio
e nostalgia per ciò che ho ancora.
Nostalgia anche se conosco i suoi lati oscuri e le sue fatiche.
Nostalgia per quello che ero, forse, non per quello che non so
e desiderio di fotografare la vita.
Nostalgia.
                                                      Silvano C.©
( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte.  Grazie) 

domenica 11 settembre 2011

Non è un decalogo


Non mostrare le proprie insicurezze con i figli ed i giovani, pur mantenendo con loro un rapporto franco ed onesto. Non per sembrare più forti, ma per dar loro un porto sicuro nei momenti di difficoltà, un ideale da seguire, uno scopo.

Non illudersi mai di aver fatto le scelte giuste, ma sperare solo di averle fatte commettendo poche scorrettezze o danneggiando il minor numero possibile di persone. Non sperare neppure di essere un esempio per gli altri, perché quelli faranno le loro scelte, ed hanno il diritto di sbagliare come tutti.

Essere duri con noi stessi, ma non con chi ci segue o ci ascolta, anche quando si viene fraintesi o non capiti. Potremmo aver torto.

Mostrarsi sempre disposti ad ascoltare, perché chi parla cerca un contatto, e a volte non serve neppure rispondere. Non occorre dar ragione ma essere vicini sul piano umano, condividendo qualche dubbio o qualche debolezza.

Dimenticare alcune cose incuneate nella nostra testa, aprirsi al nuovo, eliminare i luoghi comuni più radicati e pericolosi, ma stupirsi ancora per quello che ascoltiamo. Isolare chi predica solo odio e chiusura verso gli altri, anche se sa mascherare bene il suo rancore sotto la maschera di diritti calpestati e di bisogno di giustizia.

Ammirare chi sa aprire il suo cuore, la sua casa e la sua vita agli altri, e lo fa per un suo voler conoscere, voler capire. Questi sono i nostri amici di elezione, ai quali però non dobbiamo legarci per rubare soltanto, ma cercare di imitarli.

Capire chi non ha ancora capito, ascoltare chi non vuole ascoltare, cercare una mediazione, aprire un varco, a volte guerreggiare mirando alla pace. E, dopo una delusione, lasciar passare un po’ di tempo, e ricominciare esattamente come prima, senza rancori.

Non pensare di essere più saggi solo perché si hanno più anni. A volte si diventa solo più paranoici, rigidi nelle proprie convinzioni, sicuri di sapere molte cose e capaci solo di dare consigli, come questi, ma incapaci di leggere il mondo che diviene.

(Poichè io non sono come descritto sopra, ritengo questo non-decalogo prima di tutto un invito al sottocritto)

                                                                           Silvano C.©
( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte.  Grazie)

sabato 10 settembre 2011

Non riesco più a difendere la RAI

 
Ho sempre inteso come punto di onore la difesa della televisione pubblica, e quindi del pagamento del relativo canone. Ora però i dubbi mi crescono giorno dopo giorno. 
Vedo personaggi che ho seguito, più o meno discussi, non sempre condividendo le loro idee, ma ritenendoli comunque voci importanti, abbandonare o essere abbandonati dalla RAI. Cito solo Augias, Saviano, Santoro e Dandini. In parte anche Fazio. Per uno come me, non interessato allo sport se non per avvenimenti eccezionali come le Olimpiadi, poco attirato dall’intrattenimento come viene inteso da raiset, cioè ai telefilm seriali, ai reality, ai programmi dove ci si umilia per vincere qualche euro, ai telegiornali di regime ed a molte delle cose che passa la RAI, cosa resta?
A volte, la sera, mi butto su RAI-Storia, o seguo le trasmissioni di Philippe Daverio, poco, troppo poco per giustificare un intero palinsesto nel quale i tre canali principali  sono spesso inguardabili. Spesso capita che mi guardi qualche film, che possiedo, che prendo in prestito o che passa nella programmazione.
Se non ci fosse la televisione,  specialmente un certo tipo di televisione privata, probabilmente non avremmo questo governo, è una realtà che è nota da tempo. 
Ora stiamo arrivando a livelli abissali mai raggiunti prima, come la mitica ed ancora oggi ineguagliata discesa del batiscafo Trieste nella fossa delle Marianne, nel 1960.       

                 
                                                                                                        Silvano C.©
( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte.  Grazie)

venerdì 9 settembre 2011

Ho bisogno di speranze


Sono confuso e ho paura. Dopo mesi di ottimismo per i referendum, per le donne che sono scese in piazza e non da sole, ma con molti uomini.  
Forse però tutti sono (siamo) stati mandati allo sbaraglio da chi non hanno più voglia di combattere per i diritti, e dopo illusioni di unità d’Italia, durante le celebrazioni alle quali tutti o quasi hanno aderito, ma a volte solo per dovere di ruolo e di facciata.
Ho paura perché non trovo onestà intellettuale in persone che hanno un potere politico e difendono i loro privilegi meschini mentre tolgono il futuro ai giovani, la pensione agli anziani, il lavoro ai loro elettori, e non ammettono di essere loro stessi il cancro che ci divora. Non i mercati fuori controllo, che non fanno altro che annusare la preda più indifesa, ma loro, quelli che non accettano di essere come tutti gli altri, e che non vogliono affondare con gli altri, trovando leggi, scovando interessi, nascondendo risorse rubate.
Non vedo salvezza in una società che non sa più vivere senza inquinare con la sua presenza incontrollata ogni spazio residuo, e dove non sappiamo più quali valori trasmettere ai giovani che non hanno protettori, e che non hanno precezione di come finirà per loro.  Vedo una corsa al superfluo, all’inconsistente, all’apparire. Mi pare che senza una crescita economica infinita siamo destinati a soccombere, mentre è proprio una crescita infinita che non ci possiamo più permettere. Non vedo una luce, solo ombre che mi fanno paura, e sempre meno fiducia anche in coloro che sino a ieri ho rispettato. Non voglio diventare qualunquista, e spero che questo sia solo un momento passeggero.  Vorrei ritornare a votare con un minimo di fiducia, credere ancora nella nostra bella Italia, vedere con ottimismo la forza della nostra Costituzione, sapere che l’Europa voluta dai suoi padri fondatori non è solo una utopia. Ho bisogno di speranze.
                                                                                         Silvano C.© 

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martedì 6 settembre 2011

privilegi


Appena sono stato assunto come precario in Trentino hanno tolto il privilegio del quale avevano goduto tutti i miei colleghi sino all’anno prima, che consisteva nel diritto ad uno sconto sulle Ferrovie dello Stato (Ed allora viaggiavo molto in treno). Pochi anni dopo hanno tolto il privilegio di andare in pensione in modo vergognoso con 19 anni, sei mesi e un giorno (14 anni se donne con figli) che molti miei amici hanno sfruttato al momento giusto. Poi mi hanno tolto il privilegio di sentirmi utile, in qualche modo, a livello sociale, pur lasciandomi per fortuna il piacere del ricordo di quanti ho conosciuto negli anni. Godo ancora del privilegio di molte ferie, compensate però da uno stipendio basso, che infatti mi mette in condizioni di inferiorità con molti amici laureati del mio corso di laurea facendomi sentire quello che non ha ambizioni. Devo pure ammettere che diversi colleghi hanno un secondo lavoro, ma io non ho mai fatto quella scelta.
Devo registrare poi che le donne mie colleghe sono molto più garantite in caso di gravidanza che non quelle in altre situazioni o nel privato, ed alcune purtroppo ne approfittano un po’.  Si, ammetto che godo ancora di qualche privilegio, prima di tutto per un lavoro stabile, e poi perché vivo in una regione ricca rispetto al resto d’Italia. Tuttavia rinuncerei volentieri a qualche privilegio se questo comportasse una maggiore opportunità di lavoro per mio figlio ed una maggiore equità. Vorrei non trincerarmi dietro alla difesa del mio orticello (che tanto non posso comunque difendere, visto che sono un dipendente) e vorrei opportunità serie di pace sociale, di ri-distribuzione delle ricchezze concentrate sempre più in poche persone, e vorrei pure che le regioni più ricche non fossero schierate contro le altre.
Vorrei, per concludere, che il ricco Trentino rinunciasse alla sua specialità, perché sono finiti i tempi nei quali dalle valli emigravano verso l’America o l’Australia. O i tempi nei quali l’Italia sottometteva le minoranze linguistiche, che dovevano essere difese dalla vicina Austria. Ora il Trentino è terra di turismo, di ricchezza, di servizi a livello europeo, non è più un’area povera ed oppressa.
Vorrei tante cose, che non so come ottenere, e non so neppure se sono contraddittorio in questo senso di disagio e sconfitta che provo. Ma io non sono un politico, e mi abbandono ai sogni.
                                                                                         Silvano C.© 
( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte.  Grazie)


Angelo Tommasi:  La partenza degli emigranti italiani per l'America,1896
(Roma, Galleria Nazionale d'Arte Moderna)


                                       

lunedì 5 settembre 2011

Elogio della multipla




 Lo so, sembra ridicolo, eppure voglio fare l'elogio della Multipla della Fiat, o della Citroen 2cv, e di altre auto simili (anche della mitica Duna).
 

In strada, nel traffico, il vedere il muso aggressivo di una grossa cilindrata o di un potente SUV, magari guidati in modo da imporsi all'attenzione, non crea quel clima di calma che sarebbe necessaria, ma indispone, a livello inconscio.
Forse chi compra queste auto lo fa in modo consapevole, forse no, ma non sarebbe male riflettere anche su questo aspetto formale.
Il muso di un'auto che ricorda due occhi di un animale pronti ad aggredire non mi piace.


 Molto meglio un'auto che ispira simpatia



                                                                                                Silvano C.© 
( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema  se si cita la fonte.  Grazie)

domenica 4 settembre 2011

Delazioni o pasquinate?



Ho letto un articolo sulla cronaca provinciale di Trento di oggi, domenica 4 settembre 2011, dal titolo:  “Fisco, il no dei comuni - Non siamo delatori
Se ho capito bene si leggono le ragioni del rifiuto dei sindaci e di altre personalità, che tento di riassumere:
  1. I Comuni non si vogliono trasformare in delatori dei propri concittadini
  2. Tutti sono concordi sul fatto che occorre lottare contro l’evasione fiscale
  3. Non si vuole scaricare su Comuni e cittadini la lotta all’evasione. Non si vuole una caccia alle streghe di stampo medievale.
  4. Si suggeriscono altri metodi, informatici ad esempio.
  5. Qualcuno dice che è meglio ridurre le spese piuttosto che mettere le mani nelle tasche dei cittadini.
  6. Si dice che è una soluzione che non funziona, in parte già provata, e che non produce effetti.
  7. Si suggerisce di migliorare il controllo del territorio e di pensare ad una leva patrimoniale.

 Se ho letto bene, non ho trovato nessuna obiezione seria alla possibilità, ventilata in queste ore, di rendere pubbliche le dichiarazioni dei redditi dei censiti, non una, con buona pace dei politici e dei sindaci, di vari colori politici.
I comuni non farebbero altro che rendere pubbliche le dichiarazioni dei redditi che, in ogni caso, ogni cittadino ha il diritto per legge di conoscere, quindi nessuna delazione, solo pubblicazione. E non si pensa sicuramente di bruciare nessuno sul rogo, mentre mettere le mani nelle tasche di chi non versa il suo contributo alla comunità mi sembra semplicemente un atto doveroso, non certo da evitare con uno slogan un po’ decrepito. E tutti gli altri strumenti antievasione sono sicuramente da usare, chi pensa il contrario?

Voglio aggiungere alcuni punti a favore della proposta invece, perché l’articolo, in modo un po’ distratto, non ne parla.
·        Il Comune, come ho scritto, non sarebbe in nessun caso un delatore. Potrebbero diventarlo cittadini rancorosi e invidiosi o con motivazioni poco nobili. Questo potrebbe capitare, è vero. Ma sarebbe sufficiente ricevere queste denunce in modo da non renderle mai pubbliche, e valutarle o passarle ad autorità in grado di verificare, con gli opportuni strumenti, se le accuse sono fondate. Se fossero fondate non mi sembra neppure il caso di perdere tempo nello spiegare che non sarebbero più delazioni, ma atti di giustizia. Le delazioni infondate non avrebbero seguito.
·        Rendere il cittadino responsabile dell’ambiente sociale e del rispetto delle regole da parte di tutti è un’idea che nei paesi nordici fa parte del DNA. Provate solo a salire senza biglietto su un tram di Vienna, ad esempio, o a vivere sopra i vostri mezzi in un paesino della Danimarca, e poi capite a cosa mi riferisco. Se abbiamo una cultura omertosa e mafiosa, non dobbiamo mantenerla nei secoli, ma modificarla.
·        Pensiamo sempre che chi non paga le tasse ruba a tutti gli onesti che le pagano. Se si pensa così, i disonesti ed evasori sono a tutti gli effetti dei ladri, cioè commettono un reato, devono essere assicurati alla giustizia, anche con la denuncia, e pagare per quanto hanno sottratto alla comunità.
·        I concittadini sono le persone più indicate per capire chi vive sopra i propri mezzi, perché chi vive a Bologna non sarà mai in grado di sapere se Mario Rossi, di Catania, che arriva nel porto di Rimini con una barca milionaria è un poveraccio nullatenente o un notaio che dichiara i suoi guadagni al fisco. Io conosco chi vive vino a me sicuramente più di chi arriva da altre città.

Che tristezza vedere che si vogliono difendere i diritti alla privacy degli evasori. Le persone oneste non hanno bisogno di essere difese su questo.
                                                                                                    Silvano C.©

 ( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte.  Grazie)

venerdì 2 settembre 2011

Un maestro



È stato il mio maestro, quando io ero un ragazzino di terza, quarta e quinta elementare. Negli anni '50 utilizzava già proiettori portatili per diapositive in valigetta, ci faceva costruire immensi presepi con chili di Pongo, ci invitava a raccogliere bozzoli di farfalle da far schiudere in classe, ci portava in visita alle segrete del Castello Estense, ci guidava nella visita alla mostra di Boldini, parlandoci e mostrandoci pure i suoi quadri “proibiti”. 
Faceva educazione sessuale, non per tutti, visti i tempi e la nostra età, ma per quelli che avevano manifestato certe curiosità e che giudicava pronti a capire le sue parole, dopo averne preventivamente parlato con i genitori. Ci faceva imparare i canti della prima guerra mondiale, come “la Leggenda del Piave,  o il  “Va, pensiero” dal Nabucco.  Ci proponeva ricerche sulla Treccani e su altri libri non di testo.
Il suo approccio laboratoriale alle materie si può esemplificare in un episodio. Un giorno, non so chi di noi ragazzini, chiese se pesava di più la sabbia secca o quella bagnata. Lui non spiegò la risposta, ci avrebbe impiegato pochi minuti a farlo. No. Mandò il bidello in cortile a raccogliere un paio di contenitori di sabbia. Incaricò alcuni ragazzi di riempire un secchio di acqua.  Estrasse dall’armadio bilance, scatole, bicchieri, contenitori, e altre cose che ora si sono perse nella memoria. Non ricordo neppure cosa ho fatto io esattamente, ma non scorderò mai la sua arrabbiatura solenne quando alla fine vide l’aula trasformata in un pantano, sabbioso e incalpestabile.
Credo che si sia divertito molto a far sporcare noi e l’aula, e poi a sgridarci. In effetti, malgrado la sua sgridata, non ricordo di essermi sentito in colpa in quel momento, ed ancora oggi il ricordo di quell’episodio mi lascia dentro una profonda nostalgia. Quella è stata una lezione laboratoriale.
Alcune cose imparate allora mi sono rimaste come metodo, come approccio alle cose, come ricerca anche personale per avere una opinione o una idea.

Non è stato solo il mio maestro però, intelligente, innovativo, umano, severo e preparato, ma anche uno dei più grandi storici che Ferrara abbia potuto vantare, un uomo colto ed umile, che non si è mai arricchito col suo lavoro.

(Adiano Franceschini su Wikipedia)

                                                                          Silvano C.©

 
( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte.  Grazie)

Una madre



Conosco Ada quando mi trasferisco nel nuovo appartamento. Lei abita col marito e la figlia al primo piano, noi invece stiamo al quarto. All’inizio sono vicini come tanti altri, senza contatti diretti, neppure per rumori che potrebbero infastidirci reciprocamente. Io vedo Anna, la figlia, e penso che potrebbe essere una possibile amica per Giuseppe, mio figlio, ma nella nuova casa ci sono molti e grossi problemi, e non ho tanto desiderio di lasciarmi andare e rilassarmi cercando nuovi contatti. Loro sembrano una coppia normale, una coppia come tante. Poi la bambina inizia ad avere comportamenti strani. La vedo camminare con difficoltà, non essere in grado di raccogliere una palla, sino a non riuscire a stare in piedi. Poi va in giro su un passeggino, anche se ormai troppo grande per usarlo.
Anna ha una malattia rara, degenerativa, inarrestabile. La coppia inizia a litigare, li sento passando accanto alla loro porta mentre salgo le scale, o addirittura dall’atrio. Il tempo scorre lento. l due genitori smettono di andare in giro assieme, la bambina non esce più di casa. I mesi si fanno pesantissimi, sino ad arrivare alla tragica conclusione: Anna muore. Il funerale è straziante, perché quando muore un bambino, un figlio, non si sa più nulla, tutto cessa. Da questo momento la situazione della coppia prende una svolta accelerata, inconcepibile per un osservatore esterno. L’appartamento viene messo in affitto, loro si separano e Ada, una maschera di dolore, distrutta, viene praticamente lasciata fuori dall’appartamento senza aver neppure modo di recuperare i suoi abiti in un armadio. Lei si aggrappa all’unica cosa che le rimane, il suo lavoro. Lui si trasferisce nel capoluogo, si rifà una vita, chiude con l’esperienza precedente, dimentica Anna, e soprattutto Ada. Trova una compagna più giovane, ha un figlio. Lo incontro, tranquillo, pochi anni dopo, per caso, in giro, e poi non lo vedo più. Lei invece resiste, anche se trasformata per anni in un’ombra, col viso che racconta la sua tragedia. La vedo ogni tanto, perché abita in una zona più lontana. Non trovo vitalità nei suoi occhi, sino ad ora. Oggi l’incontro per caso, ed è diversa, mostra un viso più tranquillo, maturo, consapevole e calmo. Parla nuovamente di futuro, delle difficoltà che tutti viviamo. Spazza via cattiveria ed egoismo. Li conosce, certo, ma vuole vivere.

                                                                                             Silvano C.©

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